La romanità delle Terme Euganee

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In questo quadro storico avvenne la dominazione romana, e si ebbe la “romanizzazione” della penisola: una dominazione tutt’altro che sgradita se pensiamo che i Veneti si sentivano sempre pericolosamente esposti alle scorrerie delle tribù galliche attestate ai loro confini; non si trattava evidentemente di salvaguardare l’indipendenza, quanto di scegliere a chi affidarla.

Nel 49 a.C., dopo essere stati a lungo socii, cioè alleati dei Romani, gli abitanti di Padova e della zona termale euganea diventarono cittadini romani per decreto di Giulio Cesare. Per le acque calde di questa zona, che curavano tanti malanni, si aprì un periodo di vero splendore.

In una campagna verde, ma quasi del tutto incolta, costellata di macchie di arbusti e di boschetti immersi in un silenzio sacrale, numerosi sentieri fra l’erba, beimg_20180225_121121.jpgn segnati dai piedi premurosi dei fedeli, dovevano portare al grande lago sacro, compreso tra il colle di San Pietro Montagnon e il Castello. Infatti fin dal periodo atestino preromano nella zona si San Petro Montagnon (antico nome di Montegrotto) si venerò un dio delle acque sulfuree a cui le genti venete credevano e al quale si sentivano molto legate.

A questo lago c’era sempre un grande afflusso di malati che speravano nella prodigiosa forza delle acque.

Essi portavano, o si facevano portare, le offerte per il dio consistenti soprattutto in vasetti votivi, ciotole bronzetti.

Vivaci, di gusto “popolare”, certamente non inferiore a nessun’altra bronzistica nell’area paleoveneta, queste piccole sculture ritrovate rappresentano cavalli, cavalieri, offerenti con tazza e anfora per vino, parti del corpo umano come piedi, braccia e mani per le quali si chiedeva (o si era ottenuta) la guarigione.

Tutto era offerto ad Aponus, dio sempre presente e potente, capace di liberare attraverso le acque termali risolutive virtù “medicinali”.

Stando agli scavi archeologici, pare che vi fosse, dentro al lago sacro, un piccolo santuario o un tempietto eretto su pali di rovere, dove era esposta alle invocazioni dei fedeli l’immagine di questa divinità.

Questo dio quindi, fin da qualche secolo prima dell’arrivo dei Romani, dispensava guarigioni, dimostrando un’efficacia largamente attestata dalla scienza moderna.

Di questo materiale votivo si sono trovati (fra il secolo scorso e questo) almeno tre grandi “giacimenti”, in corrispondenza di tre sorgenti naturali, sparsi in un’area di circa diecimila metri quadrati.

La quantità delle offerte doveva essere notevole: uno solo di questi giacimenti ha restituito infatti 10.000 vasi, di cui 3.500 ancora intatti.

Anche alcune iscrizioni votive ci hanno confermato che si faceva voto alle acque del dio Apono e ancora oggi su queste pietre noi possiamo leggere i ringraziamenti sinceri e le trepidanti speranze dei malati che erano guariti grazie alla potenza della divinità.

Secondo un costume antichissimo, nei pressi della fonte, gruppi di fedeli oppure ministri dello stesso dio, sacrificavano i capi migliori del gregge o vittime scelte (sono stati trovati infatti ossa di animali assieme ai vasetti votivi) e versavano simbolicamente poche gocce di vino puro in segno di riconoscenza per quanto stavano chiedendo.

Il culto delle acque termali è dunque antichissimo; se non in queste forme, e forse celebrato diversamente, esso risaliva all’antico popolo degli Euganei che lo avrebbero trasmesso ai Veneti e costoro ai Romani. Non è un caso infatti che in questa regione il paganesimo in tarda età romana costituì una valida roccaforte, mentre tutto intorno aveva già preso piede il cristianesimo.

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(parte I^ del II^ capitolo tratto dal libro MONTEGROTTO TERME  –  STORIA E LEGGENDA)